L’inchiesta sulla toponomastica di Venasca,
effettuata nel periodo compreso tra marzo e settembre 2005,
è stata condotta seguendo fedelmente le norme e le finalità messe a
punto nell’ambito del progetto dell’ATPM
(Atlante Toponomastico del Piemonte Montano) per il rilevamento dei toponimi dialettali.
Il sindaco di allora, il prof. Dario Ballatore,
mi è stato d’aiuto per il recupero del materiale cartografico
costituito da una mappa catastale in scala 1.5000 che rappresenta
l’intero territorio comunale, con la parcellizzazione abbastanza
aggiornata dei terreni, l’indicazioni delle borgate, delle strade e
delle principali sorgenti.
La localizzazione precisa delle zone cui si riferiscono i toponimi non
è sempre stata agevole poiché la carta è in bianco e nero e priva di
riferimenti orografici.
Utile si è rivelata per l’orientamento degli intervistati la
“Carta dei Sentieri n. 5” relativa alla Valle Varaita, fornitami
dalla Comunità Montana.
La ricerca si è orientata, soprattutto, sulle numerose borgate del
paese, le più interessanti, a mio avviso, dal punto di vista della
toponomastica, ma non mancano dati relativi al capoluogo e al centro
storico.
La disponibilità degli informatori è stata notevole:
a tutti vorrei estendere il mio ringraziamento per l’entusiasmo con cui hanno aderito alla mia iniziativa e per la quantità di informazioni che hanno saputo fornirmi, senza le quali non sarebbe stata possibile la realizzazione del presente lavoro. Mi è stata di valido aiuto la presenza di mia madre, che mi ha accompagnata durante quasi tutte le interviste: nativa del paese, ella conosce molti più venaschesi di me, e ha saputo orientarmi sulla scelta delle persone da contattare.
La scelta degli intervistati è stata effettuata seguendo criteri soprattutto geografici, cioè cercando rappresentanti delle varie zone indagate. I loro dati sono registrati nell’elenco riportato a fine ricerca: essi sono quasi tutti residenti a Venasca, alcuni sono nati in paesi limitrofi e trasferiti nel nostro paese dopo il matrimonio. La loro età è varia: la maggior parte è fra i 50 e i 70 anni, ma non mancano persone più anziane (Maria Isaia è nata nel 1910) e più giovani (Manuele Barbero è del 1975); gli informatori sono sia uomini che donne, per lo più in pensione; non mancano, però, operai, artigiani, casalinghe, impiegati e diplomati.
Le interviste sono state condotte lasciando che il dialogo,
impostato all’inizio seguendo l’ordine delle apposite schede
fornitemi dall’ATPM, concedesse spazio ai ricordi personali,
al racconto di vicende e aneddoti non direttamente collegati alla
ricerca (storie del passato legate alla guerra, alla povertà,
agli stili di vita di un tempo, episodi di gioventù),
ma ugualmente interessanti e utili per creare un clima rilassato e
confidenziale che cancellasse l’iniziale lieve diffidenza.
Alcune interviste sono durate un intero pomeriggio, trascorso tra
le parole, le memorie, i caffè e qualche cioccolatino per smorzare
i discorsi “seri”.
Dai dati raccolti ho potuto notare che la conoscenza dei macrotoponimi
(borgate, baite) e dei toponimi relativi al capoluogo è molto viva tra la popolazione; i microtoponimi (campi, prati, sentieri, sorgenti) sono numerosi, soprattutto sulle montagne, conosciuti per lo più dagli anziani e, in alcuni casi, ancora utilizzati.
I vecchi mi dicono di essere consapevoli della perdita di questo patrimonio popolare e aggiungono che ormai non serve più e che neppure i loro figli conoscono le antiche denominazioni.
Riguardo al significato da attribuire al toponimo, pochi hanno
saputo darmi precise indicazioni e, nella maggior parte dei casi,
mi rispondevano:
”Si chiama così, l’hanno sempre chiamato in questa maniera...!”.
In molti casi la denominazione del luogo si è manifestata fantasiosa,
tanto che neppure la traduzione in italiano è stata possibile.
Ho intervistato quasi una persona per ogni borgata presa in esame;
in alcuni casi (es. per Lo di Micei , la zona di Sant’Anna, alcune borgate dell’adrit) una medesima zona è stata oggetto di più interviste, così da poter effettuare un confronto tra le informazioni raccolte e garantirne una maggior attendibilità.
La descrizione delle caratteristiche geomorfologiche dei luoghi è
stata fatta sulla base delle spiegazioni fornite dagli intervistati
e sulle mie conoscenze dirette;
nel caso dei posti non più raggiungibili,
disabitati o alterati dal trascorrere del tempo, ho dovuto far ricorso ai ricordi e ai racconti dei miei informatori.
Ho avuto la fortuna e il piacere di visitare direttamente alcune zone esaminate, accompagnata dagli stessi informatori: Giovanni Battista Viale e la figlia mi hanno fatto conoscere Lo di Goria e la zona di Peralba, dove ho potuto ammirare da vicino i vari piloni votivi; Maddalena Monge Rolfo mi ha fatto visitare La Rulfa e i terreni circostanti, il Ceppo Miceli e i 7 piloni della zona di Sant’Anna; Lucia Rinaudo mi ha condotto a Rafana; Chiaffredo Monge Roccaglia (Fredu) mi ha accompagnato a Bunin e Pilun; Giuseppe Bastonero mi ha condotto tra le case di Urüsa. Durante queste visite ho potuto anche scattare qualche fotografia, oltre che confrontare o confermare le informazioni raccolte con le interviste a tavolino.
Di enorme aiuto è stato il materiale fotografico che un gentile amico di Venasca, Elio Marchetti, ha messo a mia disposizione, permettendomi di utilizzare le sue foto come supporto alle descrizioni scritte.
Inoltre, il sindaco mi ha fornito molte informazioni riguardo il capoluogo e il centro storico, oltre a consigliarmi di consultare l’Archivio comunale che mi ha permesso di evidenziare affinità e differenze tra la toponomastica attuale e quella dell’Ottocento.
Questa ricerca, che mi ha permesso di scoprire nuovi luoghi di Venasca e di conoscere molti miei compaesani, vuole presentarsi come un tentativo, non esaustivo, di salvare da un irreversibile perdita un patrimonio culturale che ai nostri giorni viene sottovalutato, ma che è importante per ricostruire il passato della nostra gente e scoprire la nostra identità di parlanti.
Simona Mariconda