Le notizie storiche relative alla Valle Varaita sono limitate e
la documentazione sulle origini del popolamento è ancora più carente
che nelle altre valli alpine.
Ciò dipende anche dal fatto che i ritrovamenti archeologici
sono quasi sempre stati casuali e, quando non andarono distrutti,
i reperti derivanti sono finiti dispersi nella maggior parte dei casi.
L’ipotesi sull’origine del popolamento locale
Anche per la nostra zona si potrebbe avanzare l’ipotesi,
già formulata per le altre vallate delle Alpi occidentali,
secondo le quali gruppi di cacciatori-raccoglitori,
nel II millennio a.C., avrebbero aperto la via a tribù di origine
indoeuropea dedite alla caccia e alla pastorizia e, più tardi,
all’agricoltura. Esse si sarebbero stanziate sulla sinistra del
torrente, alla base dei contrafforti alpini, in particolare nel
tratto Saluzzo–Verzuolo–Piasco-Brossasco.
In seguito vi si stabilirono i Liguri Bagienni o Celto Liguri,
una popolazione mediterranea indoeuropea che occupò la pianura
e le valli cuneesi ponendo la propria capitale ad
Augusta Begiennorum (l’attuale Bene Vagienna):
lo stesso toponimo Venasca è molto probabilmente legato al nome
proprio di persona tipicamente ligure Vennus o Venna.
Nel periodo della grande migrazione indoeuropea si insedia nelle
nostre zone il gruppo dei Celti o Galli: di queste popolazioni
preromane non possediamo testimonianze dirette,
ma tracce della loro lingua sono riscontrabili nella toponomastica.
L’arrivo dei Romani
All’inizio dell’era Cristiana, i Romani giungono nella Pianura
Padana e sulle Alpi: intorno al 15 a.C., sotto Augusto, essi,
dopo guerre estenuanti, sconfiggono i Galli e fondano due regioni
che comprendono l’attuale Italia Nord Occidentale.
Nel periodo romano esiste a Piasco, in regione Comba Romana,
una stazione doganale, presieduta dalla “Nona legione delle Gallie”
che esige la “Quadragesima Galliarum”, cioè il pedaggio del 2,50%
sul valore delle merci in transito lungo la Valle Varaita.
Inoltre Venasca, con l’intera vallata, probabilmente faceva capo
al municipio di Forum Germanorum, il cui centro è stato localizzato
nella frazione di San Lorenzo a Caraglio.
I Romani portano nelle nostre zone la loro cultura e la lingua
latina che, essendo un idioma scritto, si impone sulle parlate
locali, pur venendo influenzato da esse: mancano le relazioni
storiche, ma le iscrizioni, le monete, le urne funerarie
rinvenute in molti luoghi della valle testimoniano che le nostre
terre assorbirono molti elementi portati dai Romani.
La diffusione del Cristianesimo
Il Cristianesimo si diffonde a Venasca intorno al 250 a.C.
grazie ai primi evangelizzatori
(San Dalmazzo da Pedona, San Ponzio, San Siro, San Barnaba,
San Frontone nel sec. IV),
e per opera di magistrati e commercianti romani,
che transitavano nella valle diretti verso la Gallia Transalpina,
e di soldati cristiani della Legione Tebea,
alcuni dei quali periscono o sono martirizzati sulle Alpi piemontesi:
San Costanzo, San Vittore, San Chiaffredo
(patrono della diocesi di Saluzzo), San Magno, San Defendente.
La caduta dell’impero e le pressioni barbariche
Con la caduta dell’impero romano d’Occidente, anche Venasca,
come luogo di confine tra le regioni romane della pianura e quelle della Gallia, inizia a sentire le pressioni dei popoli barbari; tuttavia le conseguenze non sono molto drammatiche, mentre nel resto della valle i barbari distruggono e fanno razzie, accumulando rovine su rovine tali da far scomparire persino la memoria dei centri di fondazione romana.
Dal IX sec. si stanziano i Longobardi,
l’ultimo popolo che ha lasciato qualche traccia nelle nostre zone:
essi fondano una marca, cioè un dominio di confine,
che comprende Saluzzo e i territori circostanti.
Un’antica tradizione, inoltre, vuole che il loro ultimo re,
Desiderio, sia morto a Paesana.
Il Medioevo e i Saraceni
Sotto i Carolingi la situazione va gradatamente migliorando:
dopo aver sconfitto i Longobardi, essi dividono il territorio
in varie contee e Venasca viene legata alla Contea di Auriate,
che comprende anche le Valli Stura e Po e la dorsale alpina,
e ha probabilmente centro amministrativo nella località
San Lorenzo di Caraglio, anche se altre fonti suggeriscono
che fossero Valloriate, Pedona – l’attuale Borgo San Dalmazzo – o
Busca.
Verso la metà del secolo X, Venasca e altri paesi della valle
subiscono saltuarie incursioni saracene: i Saraceni hanno la
loro base nella baia di Frassinet, vicino a Nizza, e da lì
si spingono a saccheggiare le regioni vicine, giungendo
fino alle nostre terre. In ricordo di queste incursioni,
ogni cinque anni si svolge a Sampeyre la Baío,
una rievocazione storica in costume che ricorda i principali
avvenimenti e gli scontri tra popolazione locale e saraceni.
Cacciato l’invasore, grazie a una coalizione di feudatari promossa
dall’imperatore tedesco Ottone I, e distrutta la base di Frassinet,
è necessaria una ricostruzione delle nostre regioni,
rimaste incolte e quasi disabitate. Importante è l’opera dei vescovi
e dei monaci, ormai saldamente stanziati nella zona in pievi e
conventi, stimati dal potere centrale e dal popolo, quasi totalmente
cristianizzato.
La valle Varaita passa al vescovo di Torino
È appunto alle autorità religiose che volgono la loro
attenzione gli imperatori della Casa Sassone: con un atto del
I settembre 998, Ottone III dona al vescovo di Torino le
Valli Stura e Varaita, donazione che viene confermata
dall’imperatore Federico Barbarossa con diploma del 25 gennaio 1159.
Dopo l’anno 998, quindi, alcuni paesi del Saluzzese,
compresa Venasca, passano direttamente sotto la giurisdizione
del vescovo-conte di Torino: egli, data la lontananza dei territori
dalla sua sede, divide diritti e doveri feudali con i feudatari
locali. Crea inoltre chiese e castelli-fortezza,
particolarmente necessari dopo le distruzioni saracene:
così avviene a Venasca, dove viene fatto costruire un castello
detto Serravalle perché eretto “de l’altra parte de la valle,
de là de la rivera” ovvero a destra del torrente Varaita;
a Piasco, nel 1037,
il vescovo Landolfo fa costruire un castello con due torri e una
chiesa.
Attorno a questi manieri nascerà, in seguito, il borgo
primitivo dei paesi.
Il primo signore di Venasca
Il primo a definirsi signore “De Venasca” è Bruno Enrico Alberto
del fu Daniele, che compare nel 1062 in un atto di donazione
di terre della Valle Varaita in favore dell’Abbazia di Santa Maria
di Cavour e, nel maggio 1075, in un atto firmato dalla contessa
Adelaide di Torino.
Nel marzo 1156 Alberto De Venasca riceve l’investitura feudale dal
vescovo Carlo. In questo periodo Venasca è detta oppidum, cioè
fortezza, per la presenza del castello, ove risiedevano i
“De Venasca”.
Lo stemma della famiglia è costituito da uno scudo sul quale sono
fregiate due aquile nere, sormontato dalla corona comitale.
I vicini Marchesi di Saluzzo (il marchesato saluzzese era nato
nel 1142) non tardano a manifestare le loro pretese sul
nostro paese: già dal 1150 il marchese Manfredo ha proceduto
all’investitura dei feudi di Isasca e Venasca ai De Venasca.
Nel 1206 diviene signore di Venasca un certo Ghirardo; nel 1218
compaiono i signori Baldretto e i fratelli Manfredo e Guglielmino,
nell’atto di offerta di vassallaggio delle loro terre di
Valle Varaita alla contessa Allasia di Saluzzo;
seguono un Guglielmo coi nipoti Giacomino e Nicolò.
Venasca entra nell’orbita del Marchesato di Saluzzo
Durante il lungo governo del marchese Tommaso I di Saluzzo
(1244-1296), la situazione dei signori di Venasca diventa
sempre più precaria, poiché egli cerca di estendere il suo
dominio con tutti i mezzi: si autoinfeuda di Piasco, Brossasco e
Melle, tolti a Nicolino di Venasca; quest’ultimo,
non potendo affrontare la potenza del marchese, si sottomette.
Pochi anni dopo si presenta l’occasione propizia per una ripresa:
Carlo II d’Angiò dalla vicina Provenza cerca di espandere
la sua influenza in Piemonte.
I signori di Venasca colgono il momento favorevole per
allearsi col marchese di Busca contro i marchesi di Saluzzo,
sperando di poter riprendere pieno possesso dei loro feudi in valle.
Carlo II accetta e nell’aprile 1306 li investe dei feudi di Piasco,
Brossasco e Melle; inoltre il castello venaschese riveste
un’importanza strategica particolare per gli Angioini.
Tuttavia, tra alterne vicende, Venasca è sempre troppo vicina a
Saluzzo per potersi opporre in continuazione, così nel 1336
i Signori di Venasca, sebbene di malavoglia, prestano
l’omaggio feudale al nuovo marchese Tommaso II. Ciononostante,
torneranno nuovamente alla carica contro Saluzzo: alleandosi
ancora con gli Angiò e anche col principe di Acaja, assediano
Saluzzo, il marchese Tommaso si arrende ed è fatto prigioniero.
Dopo 13 mesi di prigionia Tommaso II viene riconosciuto legittimo
signore del Marchesato e reintegrato dei suoi diritti: gli spetta,
tra l’altro, il feudo di Venasca.
I disordini contro il marchese, però, non sono finiti né nel nostro
paese né a Busca: Tommaso II punisce severamente i ribelli
di Busca, assale il castello di Venasca, dove i Signori sono
costretti a cedere. Quest’ultimi chiedono aiuto al vescovo di Torino,
in quanto loro superiore feudale, e ottengono ragione:
il vescovo scomunica il marchese di Saluzzo (luglio 1352)
e concede in seguito parte della fortezza e del territorio
a Giovanni del fu Nicolino. Alla morte del marchese la situazione precipita nuovamente: nel testamento sono lasciati al secondogenito Galeazzo tutte le terre, i castelli e le ville che appartenevano già ai Signori di Venasca; al primogenito Federico è ceduto l’intero marchesato. Quest’ultimo, nel 1368, sottrae al fratello, troppo propenso per i Savoia, i feudi lasciatigli dal padre, inclusa Venasca: da quell’anno il dominio di Saluzzo sul nostro paese e sulla Valle Varaita rimarrà incontrastato (fino al 1548).
La nascita delle istituzioni locali
Sotto l’eco e la spinta delle rivendicazioni popolari (o meglio dei borghesi e dei proprietari terrieri)
dei maggiori centri cittadini piemontesi, anche il nostro paese, nei primi secoli dopo il Mille,
inizia a promuovere corporazioni e confratrie e, in seguito, si costituì in Comune con sindaco
e consiglieri propri.
Il primitivo gruppetto di case cede il posto a un borgo di fondo valle, vivo e laborioso,
anche grazie al florido mercato settimanale che ha origine proprio in questo periodo,
punto di rifornimento per tutta la vallata. Il comune di Venasca, sebbene nato sotto
lo sguardo del feudatario, è in grado di portare avanti istanze proprie e col tempo,
può procedere a codificare consuetudini e competenze: nascono, in tal modo, gli Statuti.
Quelli di Venasca vengono concessi dal marchese di Saluzzo Ludovico II nel 1485 e
comprovati nel 1534 dal marchese Francesco. In un volume di 200 fogli,
in latino paleografico, essi riguardano tutto ciò che può favorire il quieto vivere
del paese: la gestione comunale, l’amministrazione della giustizia, la protezione
dei beni, la pubblica sicurezza, l’igiene, il mantenimento del mercato del lunedì.
In questo periodo l’economia del paese si fonda in particolare sulla coltivazione
della canapa (dalla quale si estrae l’olio, esportato a Torino, Cuneo, Mondovì e Nizza),
sul commercio nazionale della tela grossolana (vendita di 25 mila pezze l’anno),
sulla produzione di falci e falciole ricavate dal ferro estratto nelle miniere dell’alta
valla e vendute in Francia.
Risale a questi anni la costruzione della Cà ‘d la Tur, palazzo signorile di
stile rinascimentale, costruito di fronte alla parrocchiale.
Tra Quattrocento e Cinquecento
Le notizie relative al Quattrocento scarseggiano:
le vicende del nostro paese si intrecciano e convergono
con quelle del Marchesato saluzzese.
Si assiste ad una netta presa di coscienza democratica
in ambito comunale, pur sotto la supervisione del feudatario:
vengono offerti contributi al marchese Ludovico di Savoia,
in difficoltà; si risolvono questioni relative ai confini,
strade e acqua col comune di Piasco.
Nel 1486, quando il duca di Savoia Carlo I, in lotta col marchese
Ludovico II, invade il Saluzzese, il castello di Venasca e quello
di Revello sono gli unici a non cadere in mano all’invasore.
Dopo la morte del duca savoiardo i marchesi di Saluzzo rientrano
in possesso del loro dominio, occupato dai Francesi, e anche di
Venasca, con alterne vicende propizie e avverse, sino al 1548,
quando Gabriele, sospettato di essere in contatto con gli Imperiali,
venne imprigionato nel suo castello di Revello e in seguito condotto
a Pinerolo, dove morì avvelenato nel luglio dello stesso anno.
Con la scomparsa dell’ultimo marchese di Saluzzo, dopo circa 400 anni
di dominazione, il Marchesato passò sotto il diretto dominio dei
Francesi: nel 1549 il re Enrico II di Francia annetteva i comuni
di Venasca, Piasco e Brossasco al Delfinato e iniziava un periodo
di dominazione che durò sino al 1588.
In ricordo di questo periodo di sovranità straniera rimangono
alcune pergamene di Francesco Lorena,
luogotenente del Delfinato, di Carlo Borbone e Luigi
Borbone riguardanti il mercato del lunedì.
Il re Enrico II, nel 1558, per non aggravare di nuove tasse
i sudditi e sopperire agli incalzanti bisogni del regno,
a causa della guerra mossagli da Spagna e Inghilterra,
ordina la vendita di vari possessi della Corona esistenti
nell’Astigiano, nel Marchesato di Saluzzo e nel Monferrato.
Don Costantino Porporato, figlio del Gran Cancelliere di Savoia,
ne approfitta e compra i redditi feudali di Venasca e
Brossasco e i mulini di Piasco.
L’arrivo dei Savoia sul territorio
Nel 1580 Venasca viene occupata dalle truppe di Pietro Frangier,
signore d’Anselme, ugonotto provenzale:
viene allontanato grazie all’intervento del maresciallo di Rets.
Intanto nel 1588 il duca di Torino Carlo Emanuele I occupa,
con l’aiuto degli spagnoli, il Marchesato di Saluzzo,
strappandolo ai Francesi.
È di questo tempo la prima infeudazione,
da parte del duca Carlo Emanuele, sia delle terre di Venasca sia
dei paesi vicini al vassallo Carlo Porporato.
Da questo periodo, però, alla pace di Lione (17 febbraio 1601)
seguirono ancora molte guerre sanguinose tra il duca,
alleato con la Spagna, e la Francia:
risale alle lotte di questi tempi la distruzione del castello
di Venasca.
Dopo l’occupazione del Marchesato di Saluzzo, il duca di Savoia
decide di affidarlo a qualcuno che lo governi a nome suo e sceglie
il colonnello Gaspare Porporato, al quale dona la giurisdizione
di Venasca, Piasco e Brossasco (1590).
Questi comuni sono, però, contrari all’infeudazione.
In seguito a varie assemblee, cause e decreti, nel 1598 i
tre paesi vengono infeudati dapprima a Baldassarre Flotte,
conte De La Roche, poi a Onorato Paillard, signore di Urfè e infine,
nel 1609 al Cav. Colonnello Gaspare Porporato.
I comuni tornano a protestare per l’ennesima volta e dichiarano
di non voler riconoscere alcun altro signore all’infuori del duca.
Ne seguì una lunga lite tra Venasca e Brossasco da una parte e
i Porporato dall’altra, che si protrae fino al 1785,
per riprendere nel 1848 con i Conti di Biandrate,
successori dei Porporato.
Il Duca, inoltre, crea a favore dei Porporato il
“Marchesato di Sampeyre”, comprendente anche Venasca,
Piasco e Brossasco: anche questa volta i
tre comuni fanno opposizione, ma inutilmente, e
dovranno cedere alla perentoria autorità ducale.
Quando nel 1635 muore Gaspare Porporato,
il figlio Giovanni Felice viene investito del Marchesato di
Sampeyre, sostituito a sua volta dal figlio nel 1669.
Il periodo in cui Venasca è feudo dei Porporato è ricco di
memorie e documenti, anche se molti atti sono oggetto di
depredazioni e manomissioni continue, dovute alle molteplici
guerre e alle burrascose vicende del Comune.
Nel 1619 Carlo Emanuele di Savoia divide i suoi stati al di qua
dei monti in varie province: Saluzzo diventa capoluogo di
provincia, di cui fa parte anche la nostra Venasca.
La peste del Seicento
Nel 1630 Venasca e il Saluzzese vengono occupati dai soldati francesi, scesi dalle Alpi e diretti verso Mantova per la guerra di secessione dei Gonzaga. Purtroppo al loro seguito scoppia la peste, di manzoniana memoria: l’epidemia fa la sua prima comparsa alla frazione Perot di Isasca, forse a causa di un precedente stazionamento delle truppe dirette verso la Valle Bronda. In paese si diffonde il 21 settembre e imperverserà per un anno intero, fino al 24 agosto 1631: non conosciamo il numero dei morti, perché mancano in archivio gli atti di morte (che iniziano solo dal 1644). La tradizione racconta che presso la Capella ‘d San Bartlumè venne allestito un lazzaretto, lontano dal centro abitato. Durante l’epidemia, inoltre, la comunità fa voto di erigere una chiesa all’ingresso del paese dedicata a San Carlo Borromeo (la Capella ‘d San Carlu), invocato contro la peste.
Tra Seicento e Settecento
Nel 1652-’53 ha luogo la misurazione di tutto il territorio comunale, con separazione dei beni posseduti dalla Chiesa.
Negli anni 1690-1696 il Saluzzese e Venasca vengono occupati dalle truppe francesi di Catinat, che seminano razzie; l’esercito del Duca Vittorio Amedeo II di Savoia esige di continuo uomini e generi in natura per combattere il nemico.
All’inizio del Settecento, a causa della guerra di successione spagnola, Venasca è impegnata nella formazione di un corpo di milizia per la difesa della patria, costituito da un gruppo di 79 uomini.
Nel 1706 il nostro paese viene allagato da una grave inondazione del fiume Varaita, con ingenti danni a numerose proprietà agricole.
Durante la guerra di successione al trono d’Austria i paesi della nostra zona sono invasi dai soldati diretti verso l’alta valle: anche Venasca deve contribuire fornendo generi in natura (fieno, paglia, legno, trasporti…) in favore dell’esercito e inviando uomini per aprire in valle una strada adatta al passaggio dell’artiglieria.
Durante l’assedio di Cuneo da parte dei Gallo-Ispanici (agosto-ottobre del 1744) si disputa una battaglia tra le truppe Piemontesi e gli stranieri in località Pian Madama: in quell’occasione i Gallo-Ispanici distrussero quasi completamente l’antico e ormai cadente castello di Venasca.
La rinascita di Venasca
Il 24 maggio 1750 Mons. Porporato pone la prima pietra della nuova chiesa parrocchiale (la Parocchia). Nel medesimo anno il commissario per la guerra, Sala, stende un’interessante descrizione del nostro paese, nota come “Relazione Sala”, nella quale vengono evidenziati aspetti economici e dati relativi alla produzione agricola e alla zootecnia locale.
Del 1771 è il riconoscimento di Venasca a capoluogo della Valle Varaita e da questo periodo si assiste a un aumento della popolazione: il primo censimento ufficiale, effettuato dai Savoia nel 1780, registra 2.061 abitanti.
Durante il periodo della Rivoluzione Francese, anche Venasca deve concorrere alle necessità del momento, sopportando gravi spese per l’alloggiamento delle truppe francesi, croate, russe e austriache; si organizza una Compagnia di milizia costituita da 116 soldati, alcuni venaschesi, altri provenienti dai paesi limitrofi.
Il dominio dei francesi
Con il trattato di Cherasco (28 aprile 1786) i Francesi diventano padroni della zona e iniziano a imporre i costumi e gli stili rivoluzionari: in paese, sulla piazza, si tengono discorsi sulla rivoluzione repubblicana, si organizzano due Compagnie di Guardia Nazionale, una per il concentrico e l’altra per le campagne; a fine secolo Venasca diventa capo-cantone, sede di un giudice di pace, di una brigata di gendarmi, dell’ufficio del registro e di quello postale. All’inizio dell’Ottocento il Comune procede a un secondo censimento: i residenti risultano 2105. Nel 1828-’30 inizia la costruzione de ël Punt sul Varaita, su disegno dell’ing. Calderis, costituito da tre arcate con spalloni in pietra e campate in legno. Nel periodo successivo (1835) nella nostra zona si abbatte il colera asiatico, ma fortunatamente a Venasca non ci furono vittime. Alcuni anni più tardi, a Borgata Roffarello (Ruffarel) si diffonde una malattia ignota, poi definita “febbre tifoidea senza esantema tipico”, palesemente contagiosa: isolata e circoscritta alla sola borgata, causò 4 vittime su 24 colpiti. Nel 1845 si ha il primo insediamento delle carceri nel paese, situate all’interno del municipio (ël Municipiu Vei); dieci anni dopo si procede alla sistemazione de ël Punt con la sostituzione delle campate in legno da arcate in pietra.
Tra Ottocento e Novecento
Nel 1869 scoppia una vera rivolta contro l’ingiusta “tassa sul macinato”, sedata dall’intervento della forza pubblica e con il rinvio a giudizio di 11 persone. L’anno successivo viene registrata una lieve epidemia di vaiolo che, fortunatamente, non lascia gravi conseguenze. Venasca viene dotata di un tronco tranviario (1881) che la collega con Saluzzo e la preesistente linea Busca-Cuneo, eliminando così il pericolo di isolamento della vallata e permettendo la circolazione delle merci tra la montagna e la pianura. Il 2 maggio 1890 il fiume Varaita straripa e durante tale inondazione vengono danneggiati molti terreni; la più grave alluvione, però, si verifica l’1-2-3 ottobre 1896, che distrugge il ponte e causa danni incalcolabili. Nel corso del secolo avviene l’unificazione d’Italia: nel 1860 Venasca, insieme alle comunità di Brossasco e Melle, riesce finalmente a liberarsi dal dominio dei conti Biandrate, successori dei Porporato; l’autonomia viene ottenuta dietro pagamento, una volta per sempre, di 8400 £ ai Conti. Alla seconda e terza guerra d’indipendenza (1866) e alla presa di Roma (1870) prendono parte anche sette venaschesi.
Nel 1918 si diffonde un‘epidemia di “Spagnola” che determina la morte di una settantina di persone.
Le due guerre mondiali
La prima metà del Novecento è segnata, qui come altrove, dalle due Guerre Mondiali e dalla dittatura fascista: nella guerra del 1915-1918 perirono trentasette venaschesi, due uomini nella guerra di Libia. Il fascio di Venasca è il primo della vallata a formarsi, fondato dal ten. Richelmi, comandante della compagnia di alpini. Come nella maggior parte dei piccoli centri, lontani dalle grandi città, il fascismo in paese appare più come la continuazione della situazione precedente che come vero e proprio regime; sono presenti gli aspetti più folcloristici: il “sabato fascista”, le adunate dei “balilla”, delle “piccole italiane” e degli “avanguardisti”.
Durante il conflitto del 1940-’45 Venasca perde numerosi uomini, tra morti e dispersi: i nomi dei caduti delle due guerre sono incisi sulla lapide marmorea posta sotto l’Ala Veia in Piazza Caduti. Il 15 marzo 1944 viene fatto saltare ël Punt sul Varaita; si susseguono scorribande di militari tedeschi; il parroco di allora, Don Andrea Allemano, più volte interviene con coraggio a difesa dei venaschesi, supplicando i soldati a non infierire sul nostro paese. Il 14 agosto 1944 il paese viene incendiato dalle forze nazifasciste, con lanciafiamme e altri mezzi: bruciano 96 case nel concentrico, 4 a La Rulfa, 3 a Talun e 1 a Tetto Falcone; fortunatamente non seguono fucilazioni di massa come era avvenuto nei paesi vicini; due uomini, sorpresi a fuggire all’arrivo dei miliziani, cadono sotto il tiro dei cecchini (a Costanzo Arsanto, una delle vittime, è dedicata una via del paese).
Dal secondo dopoguerra ai giorni nostri
Dopo la liberazione del 25 aprile 1945, inizia un periodo di ricostruzione del paese grazie all’iniziativa e alla volontà operativa di tutti i venaschesi: viene rifatto il ponte, riparate le case, sistemate le strade, rimesse a nuovo le linee elettriche. Intanto, dopo il periodo bellico, si ridestano o nascono in paese e nei dintorni, piccole e medie industrie: riprende l’attività estrattiva presso la Cava ‘d le Rocche, sorgono alcune fabbriche di produzione di cofani mortuari e mobili; elevata è la produzione del legname da ardere e da costruzione; si assiste a una ripresa dell’agricoltura e della zootecnia. Il centro abitato si è notevolmente esteso in direzione di Brossasco, Piasco e Rossana, in zone prima occupate da prati e campi.
L’ultimo fatto grave del secolo scorso risale al 1956, con l’ennesima alluvione del Varaita, che causa ingenti danni a varie proprietà agricole.
Eccoci giunti al 2000: il torrente imbizzarrisce nuovamente con un’inondazione di discrete proporzioni, che travolge il più grande dei due Punt ‘d Garola, importante per i collegamenti con Isasca; esso verrà ricostruito nel 2003.
Attualmente Venasca rimane uno dei centri principali della Valle Varaita: il numero degli abitanti è stabile, anzi in lieve aumento a causa del fenomeno dell’immigrazione che da alcuni anni ha toccato anche il nostro paese; inoltre è un centro attivo dal punto di vista economico, commerciale, artistico e turistico.